Errore 404: la “Pagina non trovata” più frequente di Internet

13 Dicembre 2017 Progetti Creativi

L’errore di stato dell’HTTP più frequente del web ha una storia piena di leggende, che i pionieri della rete smentiscono. Eppure, è ancora molto importante e viene personalizzata dai marchi nei modi più creativi.

404 Error: Page Not Found. L’Errore 404, maledizione di ogni cittadino digitale, la pagina davanti alla quale più sovente partono le imprecazioni, rappresenta un codice di errore del protocollo HTTP. È il codice di stato che avvisa l’utente che il client ha comunicato col server, ma il server non è riuscito a completare la richiesta. Forse non è riuscito a trovare la pagina desiderata (spostata senza adeguare l’URL, oppure l’URL stesso è stato scritto male), o forse non è stato configurato per mostrarla.

Poco importa. Il significato suona per tutti allo stesso modo: marca malissimo, girare altrove. Così tanto noto da essere un meme che ha superato il linguaggio nerd ed è arrivato sulla bocca (o la maglietta) di tutti, a prescindere dal contesto digitale. Anna Wiener racconta sulle pagine di wired.com che, poco dopo la sua apparizione, l’errore vantava già le sue leggende. Nei primi anni Duemila si narrava che il suo nome derivasse dalla “stanza 404”, quella che ospitava i primi server del web, al CERN (l’Organizzazione europea per la ricerca nucleare, in Svizzera): Tim Berners-Lee, padre del World Wide Web, aveva il suo ufficio lì.

Robert Cailliau, pioniere con Berners-Lee della struttura ipertestuale che ha condotto al web, per niente entusiasta all’idea di esprimersi sulla questione che suonava come un quiz, ha ritenuto la mitologia in merito una sonora fesseria. “Quando scrivi il codice per un nuovo sistema, non perdi troppo tempo a scrivere lunghi messaggi per le situazioni in cui rilevi un errore“, ha scritto ad Anna Wiener.

Anche perché, al tempo, conveniva risparmiare spazio e i messaggi lunghi non erano pratici allo scopo: “I geek moderni non sanno più cosa significhi programmare con 64k di memoria“.

Per questa ragione, spiega Cailliau, trovare degli intervalli numerici per indicare gli errori rappresentava la soluzione ottimale. Gli errori del client erano catalogati nell’intervallo “400” e quindi “404” fu un’assegnazione per “non trovata” (“Not found”). Fine della questione.

Non ha idea del perché tutti possano essere rimasti affascinati dal 404, e francamente, testuali parole, non gliene frega niente. “Il tipo di creatività che gira intorno alle pagine di risposta 404 è abbastanza inutile”, continua l’ingegnere belga: “La mitologia è probabilmente dovuta all’irrazionalità, a una negazione delle prove e una predilezione per la fiaba piuttosto che alla realtà, il che è abbastanza comune nella specie umana. Caratteristiche umane che erano relativamente innocenti in passato, cioè quando l’influenza dell’individuo era relativa e le informazioni si diffondevano lentamente. Oggi, e non a caso a causa dell’esistenza della rete, questi tratti hanno acquisito un potere che è pericoloso“. Per dimostrare la sua tesi, Cailliau tira in ballo le elezioni del Presidente Donald Trump, il “deterioramento dell’Unione Europea”, “la docile risposta della politica alla violenza armata”, e al proliferare di eufemismi come “cambiamento climatico”.

Al di là del tentativo di assurgere la fascinazione per la leggenda della pagina scomparsa a cartina tornasole del disfacimento ideologico, l’errore 404 gode di ottima salute. Oltre ad essere entrato nella terminologia comune, resta un terreno sul quale molti marchi fondano parte della loro reputazione.

Come già spiegava Renny Gleeson nel corso di un suo TED, nel 2012, la pagina 404 è quella che “genera la sensazione di essere stati interrotti” nell’utente, fastidiosa quanto “entrare al bar, ordinare un caffè macchiato al barista, e vedere che gira senza pantaloni”. Lui, che è stato a capo di un incubatore tecnologico, ha spiegato come otto startup si siano messe al lavoro per sviluppare creatività intorno a quell’esperienza e come “i momenti ben costruiti possano fare molto per i marchi”. E le aziende lo sanno ancora oggi. La pagina di errore 404 della Pixar ritrae Tristezza, personaggio del loro “Inside Out”, con tanto di terminologia ripresa dal film (“Quello che stai cercando potrebbe essersi perso nella memoria a lungo termine”) mentre quella di Shutterstock è animata con l’immagine di un bambino che cerca qualcosa sotto al letto. Wired.it ha scelto la saggezza del maestro Yoda con “Fare, o non fare. Non c’è provare”.

Anche Hillary Clinton ha sfoggiato qualcosa del genere durante la sua corsa alle presidenziali (l’immagine la ritrae mentre sbaglia a obliterare il biglietto della metropolitana), ma gli esempi di creatività applicata all’esperienza utente del comune errore di stato, sono molti. La personalizzazione di un errore così comune da poter toccare tutti diventa materia per non deludere il cliente e lettore.

 

Articolo selezionato da: wired.it

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